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Architettura e agricoltura nell’era della tecnologia digitale

Due casi studio a confronto in retrospettiva dell’Expo Milano


Tiziano Cattaneo

Università degli Studi di Pavia, Department of Civil Engineering and Architecture, via Ferrata 3, Pavia.

and College of Design and Innovation, Tongji University, Shanghai, China


(This article is a revised version of a paper translated in Chinese and published in Time+Architecture n. 144–2015/4:56-61, 2015. ISSN 1005-684X, CN31-1359/TU. This article is the original version of the manuscript in Italian with abstract in English and has not formally published elsewhere)




Abstract in English:

The theme of Expo Milan 2015 not only involves nutrition topic, but also involves the sustainable development of the territory, urban settlements and architecture.

The thesis here proposed is that the regeneration project of Cascina Triulza-Civil Society Pavilion has to be analyzed in parallel with the theme of the Expo which allows to introduce important research hypotheses on architecture and landscape design in the future. On one hand the Cascina Triulza acquires an important role both in architectural and landscape, also embodies cultural content and the memory of the agricultural identity of Milan, on the other hand the "Global Farm 2.0" Pavilion represents a stimulus from which design research might start a new path for architecture and for agriculture in the era of digital technology.



Full text in Italian:

Il progetto di rigenerazione della Cascina Triulza - Civil Society Pavilion per l’Expo di Milano 2015 deve essere analizzato parallelamente al tema della Expo perché consente di introdurre alcuni importanti ipotesi di ricerca sull’architettura, sul territorio e sul paesaggio che vanno oltre al progetto architettonico in se stesso. Oggi, infatti, le condizioni di degrado fisico, ambientale, sociale delle aree rurali e la messa a punto di strumenti d’interpretazione e intervento progettuale volti allo sviluppo e rigenerazione degli ambiti rurali sono oggetto di grande attenzione sia da parte della cultura architettonica contemporanea sia da parte delle Istituzioni dell’EU[1]. Sempre più spesso vengono coniugati nuovi termini come “rur-urban” e “agri-architecture” o “eco-village” per definire strutture capaci di collegare insieme la dimensione rurale e quella urbana. Infatti, in tempo di recessione globale, parole come “ri-organizzare” e “minimizzare” assumono significato fondamentale per il progetto di rigenerazione della città e del paesaggio. In Europa e nel Mondo il dibattito si confronta principalmente su termini come: rigenerazione, consumo del suolo, conversione, aggregazione, crescita sostenibile, espansione – non solo per singoli edifici e oggetti ma anche per interi sistemi urbani e territoriali [2]. Si può affermare, quindi, che la crisi del territorio rurale è un problema di carattere Europeo: dalla Spagna alla Germania, dall’Olanda alla Polonia, dal Regno Unito alla Francia, si avvertono squilibri simili a quello italiano: spopolamento e invecchiamento della popolazione, abbandono e degrado dei centri minori, difficoltà nel mantenimento delle attività imprenditoriali esistenti e/o nel decollo di nuove imprese, sfruttamento agricolo intensivo a discapito della biodiversità, inquinamento, mancanza di infrastrutture e servizi per il turismo, di occasioni lavorative per la popolazione, ecc. Questi concetti si combinano completamente con il tema dell’Expo Milano 2015: “Feeding the Planet, Energy for life”. A partire dal tema della nutrizione (come è possibile leggere nell’introduction statement di Expo) [3] il territorio rurale svolge un ruolo centrale per lo sviluppo socio-economico a livello planetario.

Infatti, Expo coinvolge non solo il tema della nutrizione in se stesso, ma coinvolge anche il tema dello sviluppo sostenibile del territorio, della città e dell’architettura: ecco perché il progetto della Cascina Triulza, trasformato nel “Civil Society Pavilion”, è ancor più importante nel dibattito culturale su Expo Milano 2015.

La Cascina Triulza è l’unico manufatto che già esisteva all’interno del sito espositivo di Expo Milano 2015. Il nome “Cascina” rappresenta un’antica e tradizionale costruzione rurale, tipica della campagna Milanese e parte del patrimonio storico lombardo, che Expo2015 S.p.A. ha ristrutturato e che sarà parte della legacy di Expo Milano 2015. Cascina Triulza è un luogo di identità, memoria, unicità e impatto che resterà anche dopo il 2015 per accogliere e proseguire alcune delle attività, proposte e progetti delle organizzazioni della Società Civile partecipanti a Expo e non solo.

Pertanto, con lo scopo di introdurre il progetto della Casina Triulza, bisogna necessariamente descrivere il sistema insediativo del paesaggio rurale della Regione Lombardia e di Milano contraddistinto da villaggi, borghi e architetture agricole diffusi in maniera capillare. Tale carattere è parzialmente sopravvissuto alle dinamiche speculative dell’urbanizzazione e diviene elemento cardine per un nuovo sistema virtuoso di relazione con il territorio. In Italia esiste un ampio patrimonio di studi maturato dal dopoguerra nelle scuole di architettura sulle problematiche del paesaggio e della morfologia urbana, dei tessuti e delle tipologie insediative, delle modificazioni del concetto di ambiente, e delle revisioni critiche di tali fondativi concetti che ne hanno riaffermato o confutato l'efficacia operativa per il progetto architettonico a fronte della complessità dei caratteri odierni del territorio. Aldo Rossi, per esempio, quando si occupava di definire la complessità strutturale dei fatti urbani fondava la ricerca su alcuni studi di Carlo Cattaneo che nelle sue tesi non farà mai distinzione tra città e campagna in quanto tutto l’insieme dei luoghi abitati è opera dell’uomo. Carlo Cattaneo in uno dei suoi numerosi testi scientifici ha scritto: “La lingua tedesca chiama con una medesima voce l’arte di edificare e l’arte di coltivare; il nome dell’agricoltura (Ackerbau) non suona coltivazione ma costruzione; il contadino è un edificatore (Bauer). Quando le tribù germaniche videro l’esercito di Roma edificare ponti, strade, mura, e con poco dissimile fatica tramutare in vigneti le riviere dei fiumi Reno e Mosella, esse descrissero tutte quelle opere con un solo nome. Sì, un popolo deve edificare i suoi campi come le sue città”. [4]

In particolare il contesto del territorio Milanese rappresenta un esempio significativo della “cascina” come elemento architettonico riconoscibile del paesaggio, anche per la caratteristica di essere in parte ancora correlato alla produzione agricola.

Le cascine rappresentano inoltre un valore culturale oltre che materiale. Esse hanno acquisito, nella percezione della popolazione, un valore simbolico legato sia alla memoria dei luoghi sia alla stessa forma del territorio, proprio per quei valori insediativi così strettamente legati alla centuriazione dei campi coltivati e alla presenza di filari di alberi, delle rogge, ecc.

Le cascine rappresentano così un patrimonio vivo del paesaggio rurale, possono essere definiti come catalizzatori paesaggisitici, oltre che talvolta sono opere rilevanti di architettura, che possono essere valorizzate in modo sistemico con il territorio. Alle originali attività produttive e agricole, alle quali sono state storicamente destinate, si sono aggiunte negli ultimi anni varie altre possibilità funzionali, legate ad esempio ad attività sociali (terzo settore), alla residenzialità e alla ricettività, alle attività turistiche e culturali. Rispetto a queste rinnovate ipotesi funzionali le attività agricole, si sono evolute grazie a nuove tecniche biocompatibili e sostenibili, e possono rappresentare un valore aggiunto e complementare piuttosto che la funzione principale.

La parola “cascina” definisce in sostanza una fattoria storicamente collocata al centro dei campi agricoli. I precursori storici della cascina a corte si trovano nella villa rurale romana e nella grangia cistercense medioevale. Le prime strutture agricole che hanno il nome di “cascina a corte” risalgono al X secolo. La trasformazione architettonica delle antiche “cascine” fino alla struttura con le caratteristiche tipiche riscontrabili ai nostri giorni avvenne fino al XVIII secolo. Le cascine più antiche risalgono al 1400 (XV secolo). Dal 1900 le cascine sono state progressivamente abbandonate soprattutto per effetto dell'abbandono delle campagne che ha caratterizzato il Novecento a seguito dell'urbanizzazione e sono state trasformate in scuole, edifici comunali, ville a schiera, ristoranti ed hotel. Tuttavia la loro presenza nelle campagne è ancora assai diffusa, anche se spesso le famiglie contadine preferiscono vivere nei centri urbani. Spesso, se sono di una certa dimensione, le cascine hanno un outlet che vende al dettaglio direttamente al consumatore i prodotti agricoli, sono le cosiddette farmers markets oppure molte cascine si stanno trasformando in agriturismi.

Per quanto riguarda lo schema architettonico e tipologico delle “cascine”, si trovano descrizioni in tutti i principali Trattati di Architettura come ad esempio nel De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, o anche nei trattati di Sebastiano Serlio, Andrea Palladio, Vincenzo Scamozzi, fino alla trattatistica settecentesca di Francesco Milizia.

Le “cascine” sono strutture agricole-architettoniche sparse in mezzo alla campagna, lontane qualche chilometro dai centri abitati. La pianta di queste strutture è generalmente rettangolare. Al suo centro è situata la corte (il cortile o aia), attorno alla quale si trovano i vari edifici agricoli: stalle, fienili, silos, granai, caseifici, pozzi, fontane, forni, magazzini, mulini ed abitazioni dei contadini riunite in un'unica struttura. Nelle cascine più grandi si possono incontrare anche due o tre corti (cortili); in tal caso sono dette "cascine a corte multipla". In alcuni casi le cascine più grandi hanno anche il mulino, l'osteria, una piccola chiesa e a volte anche una scuola. Laddove sono più isolate, le cascine tendono ad assumere l'aspetto di fortezze, data la presenza di grossi muri perimetrali. Ci sono state anche cascine fortificate con fossati, ponti levatoi e torri. Data la loro presenza nel territorio, soprattutto in Lombardia, le cascine a corte sono state definite anche come "cascine lombarde" [5]. Il nome della cascina deriva dal cognome del proprietario-fondatore dell'azienda agricola, o dal nome di qualche chiesa o monastero situati nelle vicinanze o nella cascina stessa.

Possiamo dire che, tutto quanto sopra descritto, è anche la storia architettonica, tipologica, paesaggistica di cui fa parte la Cascina Triulza. Infatti, la Cascina Triulza trasformata in occasione della Expo nel Civil Society Pavilion, si presenta come struttura architettonica che racchiude uno spazio centrale, la corte (o cortile), di forma rettangolare.

Il progetto, diretto da Expo 2015 S.p.A. aveva l’obiettivo di conservare il carattere rurale dell’intero complesso e di sviluppare da una parte il recupero del comparto esistente, formato dalla corte, dalle case dei contadini, dal fienile e dal granaio e dall’altra la creazione di nuovi elementi funzionali. Il progetto ha voluto conservare la forma, il tipo e gli elementi architettonici caratterizzanti la cascina rigenerando gli spazi anche con nuovi elementi tecnologici e nuove strutture in acciaio. I materiali rappresentativi della cascina sono stati conservati e combinati con elementi architettonici più contemporanei affiancando tradizione e innovazione, come ad esempio: la forma geodetica con rivestimento trasparente con la funzione di palco per accogliere vari eventi; la copertura a falde che accoglie i pannelli fotovoltaici per l’utilizzo di energie rinnovabili e rendere autosufficiente l’intero complesso. Quindi, il carattere e la morfologia del padiglione nasce dal confronto con gli edifici storici del complesso della cascina, di cui vengono riproposte non soltanto la forma e l’uso dei materiali, ma vengono interpretati i modi della sapienza costruttiva rurale con un linguaggio contemporaneo. L’assetto volumetrico, la composizione delle facciate, lo spessore della cortina muraria e i materiali, come il coppo e l’intonaco, rispettano la preesistenza integrandosi perfettamente con il nuovo. Il grande edificio in intonaco bianco definisce il lato nord della corte e interagisce con l’ex struttura del fienile con portico a doppia altezza su entrambi i lati definito dai grandi pilastri in mattoni rossi a vista.

Dal punto di vista dei caratteri distributivi la Cascina Triulza è uno degli spazi espositivi più grandi di Expo Milano 2015 con una superficie complessiva di 7.900 mq, ed è collocata in una posizione privilegiata direttamente accessibile dall’asse principale e si trova a circa 700 metri dall’ingresso maggiore del sito espositivo dell’Expo. Da questo lato si accede allo spazio della Cascina Triulza attraverso un piccolo bosco di alberi di gelsi che rappresentano elemento tipico del paesaggio agricolo lombardo. I lavori di restauro e riadattamento dei tre edifici che la compongono e degli spazi aperti hanno visto un investimento pari a 9,4 milioni di euro.

Gli interventi di allestimento della struttura seguono i principi di inclusione, accoglienza, accessibilità e sostenibilità. Gli spazi e i servizi sono stati concepiti per favorire la partecipazione, le relazioni e lo sviluppo di nuove progettualità e per avvicinare i cittadini e tutti i visitatori ai temi Expo in modo consapevole ed esperienziale.

Gli spazi della Cascina Triulza sono suddivisi in comparti facilmente riconoscibili dal punto di vista dell’accessibilità grazie alla chiarezza compositiva ed architettonica del complesso. L’area eventi comprende più spazi tutti tecnologicamente attrezzati: un Auditorium di 200 posti, due sale workshop e la corte esterna con una superficie di 1770 mq utilizzabili per attività educative e ricreative, eventi artistici e culturali. Nella corte inoltre è presente un palco, due vasche dedicate agli orti di 260 mq e l’accesso a diverse aree verdi.

L’area espositiva comprende un insieme di spazi flessibili e multifunzionali per una superficie di 720 mq, distribuiti sia al pianoterra sia al piano primo della ex residenza.

L’area mercato, realizzata all’interno dell’ex fienile è realizzato nello spazio definito dal grande portico e prevede uno spazio riservato a piccoli produttori, attività commerciali e organizzazioni che promuovono prodotti e servizi attenti alla qualità, all’ambiente e ai diritti dell’uomo. L’area commerciale si configura come un insieme di spazi di vendita flessibili e multifunzionali concepiti in modo da rispondere alle esigenze degli espositori e dei visitatori distribuiti su una superficie di 700 mq suddivisa in isole appositamente progettate di metrature diverse (4,8,12 mq) flessibili e adattabili secondo le esigenze.

L’area ristorazione, collocata verso l’asse principale, è costituita da tre blocchi: un ristorante su due piani con terrazza panoramica, un bar con possibilità di sedute interne ed esterne, un’area pic-nic con possibilità sia di sedute interne sia di spazio aperto informale allestito sotto il nuovo pergolato in legno adiacente al frutteto.

Inoltre, sono stati previsti dei laboratori didattici che sono degli spazi per l’accoglienza e l’attività dei bambini. Infine, al piano terra del lungo volume delle ex residenze agricole si trova uno spazio per il co-working con 10 postazioni.

La descrizione architettonica della Casina Triulza offre l’occasione per avanzare alcune analisi critiche di carattere generale sull’intero progetto della Expo. Infatti, la Cascina Triulza, come già detto in precedenza, si affaccia sull’asse principale coperto dalla tensostruttura ed è l’unico manufatto che già esisteva all’interno del sito espositivo di Expo.

L’area dell’Expo 2015 occupa un’area di 110 ettari posti alla periferia di Milano ed era terreno agricolo. Expo 2015, possiamo dire che è una delle “fiere del mondo” più controverse mai messe in scena in Europa. La sua costruzione è stata contraddistinta da un'escalation di costi e bilanci, che ha visto il conto della spesa totale raggiungere circa 13 Miliardi di Euro, compresi i costi di costruzione di nuove infrastrutture di trasporto (strade, ferrovie e metropolitana), di circa 15 Km dal centro della città. La costruzione ha subito molti ritardi, che hanno significato la spesa di 1Milione di Euro per la costruzione di camuflage per nascondere i padiglioni incompiuti.

Stefano Boeri - l'architetto Milanese originariamente incaricato di coordinare il masterplan di Expo, quando la città ha vinto la gara nel 2008, fino a quando fu rimosso dall’incarico nel 2010 - in una recente intervista ha detto che il suo team aveva pensato all’opportunità di fare un progetto radicalmente diverso. Soprattutto alla luce delle precedenti esposizioni universali che non sono mai riuscite a lasciare un’eredità efficace della quale la città potesse beneficiare. Boeri, aveva organizzato un team di esperti per sviluppare il masterplan che comprendeva gli architetti svizzeri Herzog&de Meuron, l’ex capo consigliere per l’architettura e l’urbanistica delle Olimpiadi di Londra Richard Burdett, il designer americano William McDonough e l’architetto spagnolo Joan Busquets che fu il progettista responsabile di gran parte del masterplan delle Olimpiadi di Barcellona nel 1992 che hanno avuto un impatto straordinario sulla città. Un team assolutamente di grande livello che avrebbe potuto lasciare un segno importante per la città di Milano.

Il loro masterplan prevedeva l’eliminazione totale del format convenzionale di Expo con i stravaganti padiglioni nazionali, prevedendo di collocare le aree per i vari Paesi partecipanti in modo perpendicolare rispetto ad un asse principale coperto da una tensostruttura. L’intenzione urbanistica era quella di richiamare la fondazione romana di Milano disegnando due grandi assi perpendicolari, il Cardo e il Decumano, dai quali si innestavano una serie di strade secondarie perpendicolari abolendo qualsiasi tipo di gerarchia in modo tale che non vi fosse stata alcuna differenza di dimensioni tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Con questa soluzione il masterplan avrebbe raffigurato molto bene il tema agricolo: infatti, la metà di ogni lotto sarebbe diventato una sorta di giardino coltivato, dove i Paesi partecipanti avrebbero potuto esporre la loro cultura agricola ma anche le tecnologie più avanzate per la produzione del cibo. Inoltre, Richard Burdett ha detto che la struttura del masterplan originario poteva rappresentare un’armatura fisica per la città per lo sviluppo dell’area dopo l’Expo.

Col passare del tempo, tuttavia, è stato chiaro che l’esito finale sarebbe stato molto diverso; ciò che oggi vediamo realizzato non contiene quasi nulla di quel piano “low-tech” che, probabilmente, era troppo radicale per il movimento delle esposizioni internazionali e per gli sponsor. Il Bureau of International Expositions (BIE) di Parigi – l'agenzia intergovernativa responsabile del coordinamento delle fiere mondiali dal 1928 – ha preferito intraprendere un diverso sviluppo del masterplan. Da notare che, prima che arrivasse l'Expo, questo sito era un terreno agricolo. L'intenzione era di creare una struttura che avrebbe potuto inserire l’area in un panorama produttivo, creando un nuovo tipo di città giardino ad alta densità, una volta che Expo fosse terminata. Forse, era una idea troppo bucolica che fu presto abbandonata e l'intera area è stata coperta con una enorme lastra di cemento per le fondazioni dei padiglioni – al costo di 224 Milioni di Euro, misteriosamente cresciuto di 60 Milioni di Euro rispetto al prezzo originale.

Si ritiene comunque che sarebbe stato molto difficile concretizzare le idee del team di esperti. Le regole del BIE prevedono di concedere la totale libertà di progettazione ai Paesi partecipanti e quindi sarebbe stato impossibile costringere i vari Governi a far rispettare le direttive e le idee del team di Boeri. Forse, tutto questo è ciò che rende Expo così controversa ma allo stesso tempo ne definisce la ricchezza nella sua incredibile varietà (e stravaganza) architettonica.

Tuttavia, gli edifici dell'Expo sono in certi casi molto deludenti. L’area Expo è chiusa tra i binari della ferrovia e strade molto trafficate (come se fosse un’enclave), l'acquisto dei terreni ha dimostrato di essere uno spreco di denaro pubblico. Si sarebbe potuto scegliere una zona industriale abbandonata pronta per essere rigenerata come ad esempio il vecchio mercato ortofrutticolo dismesso ad ovest di Milano. Inoltre, il masterplan utilizza una vecchia griglia storica (Cardo e Decumano) tipicamente urbana, ma viene applicata su un'area agricola peraltro senza strutture portanti di mobilità per i visitatori.

L’esito finale del masterplan sembra una sequenza di eventi simile a un gigante outlet per il cibo. I padiglioni non sono stati costruiti e collocati pensando a un utilizzo futuro, che è ciò che una visione strategica di questo evento dovrebbe garantire. Expo, inoltre, rappresenta uno spreco di materiali, soprattutto cemento e vetro, che sono quasi impossibile da riutilizzare e i padiglioni sono stati costruiti con scarsa considerazione per il risparmio energetico. In massima parte, la concezione progettuale dei padiglioni è dunque fuori linea con il tema dell'Expo, sia dal punto di vista della costruzione effettiva, sia da quella dell'espressione architettonica. In effetti, il contributo architettonico finale è abbastanza debole.

Altro elemento critico del masterplan è il canale d’acqua che circonda il sito dell’Expo. L'idea elaborata era quella di una "canal city" ma il risultato non è stato come quanto era previsto. L'Expo doveva essere un catalizzatore per rilanciare la rete dei corsi d'acqua di Milano, attraverso l’apertura di canali per irrigare i terreni circostanti. A lavoro iniziato, si era capito che la pressione dell'acqua non sarebbe stata abbastanza forte per raggiungere i campi. Il piano fu rivisto ma incontrò l’opposizione degli ambientalisti, così la rete d’acqua è diventata un fosso che non porta da nessuna parte e che non sarà mai utilizzato.

Per quanto riguarda i padiglioni, tra i migliori, potremmo menzionare il padiglione del Vaticano, per la sua chiarezza compositiva e il significato delle parole sulle sue pareti, e dove possiamo vedere all’interno il capolavoro originale dipinto dal Tintoretto, “Last supper” del 1594. Il Padiglione Zero [6] è molto interessante ed è costruito attorno ad un albero esistente e rappresenta l’ingresso vero e proprio dell’Expo all’interno del quale l’installazione esplora la relazione millenaria tra uomo e cibo. Gli argomenti presentati sono molto ben sviluppati:

- The archive of the world- Memory; - The arts of man – Knowledge ; - The supremacy of nature – Origins; - The domestication of plants, home and the domestication of animals – Community; - Farming, hunting, fishing – Invention; - The virtual food exchange – Speculation; - The paradox of waste – Catastrophe; - Seeking the right balance – Harmony.

Il padiglione cinese è anch’esso molto interessante: l’installazione “The Land of Hope” è stata progettata come un punto d’incontro tra ambienti urbani e rurali, mostrando che la "speranza" diventa realtà quando viene raggiunta l’armonia tra urbanizzazione e zone rurali.

Il padiglione CCUP è basato sull'immagine potente della rottura della terra nel momento in cui i semi germogliano. La nuova vita con il kernel verde trasforma la struttura a spirale del DNA in uno spazio a rampa, attorno al quale si articola la passeggiata elicoidale dell'uomo. Mentre nel padiglione coreano viene servito un pasto tipico fatto di riso cotto e zuppa: qui possiamo vedere l'aspetto del tema sull'uso dell'agricoltura, ancora destinato a nutrire le persone. Purtroppo, poche installazioni hanno risposto alla domanda reale data da Expo: “on which side of agriculture do we stand?”.

Alla luce di quanto detto finora, possiamo affermare che il Civil Society Pavilion - Cascina Triulza acquisisce un ruolo importante sia in termini architettonici e paesaggistici sia in termini di contenuti culturali. In modo complementare alla Cascina Triulza che rappresenta la preesistenza architettonica e l’identità agricola che fu di Milano e del sito Expo, possiamo citare il padiglione denominato “Global Farm 2.0”. Esso è il padiglione della World Association of Agronomists e rappresenta la sintesi dell’attività dell’agronomo che in ogni Paese dedica la sua professione alla progettazione del cibo in modo sostenibile e sicuro, attraverso la ricerca, la sperimentazione e il miglioramento genetico al fine di incrementare la produttività delle specie vegetali quanto di quelle zootecniche.

La sfida produrre di più consumando meno risorse è accolta dalla WWA e dal designer del padiglione Enzo Eusebi (dello studio italiano Nothing Studio) [7] che ha elaborato la forma della possibile fattoria del futuro. Un modello estetico che esprime il senso di una nuova tipologia architettonica, espressione di quel territorio globale che ibrida città e campagna (che appunto non è più precipuamente urbano né rurale). Attraverso gli algoritmi di Grasshopper per l’architettura generativa sono state parametrizzate le varie tipologie di gestione dei territori agricoli e le tipologie della fattoria continentale. La rete cartesiana su cui insiste la costruzione rappresenta, di fatto, il “sapere progettuale dell’agronomo” il quale - dal punto di vista della modellazione generativa - organizzerà forme e funzioni della fattoria nella chiave tutta contemporanea della logistica e dell'efficienza.

La possibilità di modificare la composizione delle cellule edilizie all'interno della rete consentirà di riprogettare la fattoria in funzione dei cambiamenti e delle evoluzioni del sistema produttivo dell'insediamento. Una rivoluzione, quindi, rispetto alla vecchia scomposizione tipologica della fattoria (abitazione + stalla + granaio + rimessa + coltivazioni) che prevedeva tutti i volumi attorno ad un vasto cortile. Nella “Global Farm 2.0” si mostrerà al visitatore come applicando le più moderne tecnologie e le innovazioni derivate della ricerca si possano raggiungere la sufficienza alimentare eliminando gli sprechi e contrastando i cambiamenti climatici che sono in atto. Centro del padiglione è la “farm lab”, punto d’incontro e di riflessione: in questo spazio si possono comparare le migliori pratiche di produzione nei diversi contesti territoriali, e analizzare i flussi di innovazione e la loro applicazione, le modalità di produzione del cibo nei paesaggi identitari, la crescita sostenibile e le identità delle comunità locali.

In conclusione si ritiene che il padiglione “Global Farm 2.0” possa rappresentare uno stimolo di ricerca progettuale dal quale potrebbe partire un nuovo racconto per l’architettura e per l'agricoltura nell’era della tecnologia digitale.


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Note:


[1] European Commission. Agriculture and Rural Development. Getting the most from your RDP: Guidelines for the ex ante evaluation of 2014-2020 RDP. Draft Manuscript August 2012. [pdf] Brussels: The European Evaluation Network Development for Rural, 2012.

[2] T. Cattaneo, R. De Lotto. Rural-Urban-Architecture. Design strategies for small towns development. Florence: Alinea Editrice, 2014.

[3] EXPO Milan 2015, Feeding the Planet, Energy for life – The Theme, http://www.expo2015.org

[4] A. Rossi. (Architecture of the City). L’Architettura della città. Milan: Città Studi Edizioni. p. 63. 1995.

[5] S. Boeri, M. Bregnai, A. Conroy, Et. al. Le cascine di Milano verso e oltre Expo. Milan: AGF, Arti Grafiche Florin S.p.A.. 2009.

[6] EXPO Milan 2015, Thematic areas – Pavilion Zero, http://www.expo2015.org/en/pavillion-zero

[7] E. Eusebi, Global Farm 2.0 – Project report. 2015. http://www.nothing.it/expo.asp




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